Comentarii pe baza unei note informative, de Dragoș Ungureanu
NVOVO AVVISO
Della resolutione fatta per il Serenissimo Prencipe di Transiluania
di restituire quella Prouincia all’Impero Romano
Per auuiso certo che si ha d’Alba Giulia delli 6 d’Aprile 1598
Publicato per Domenico Amici Anconiteno
Con licenza de’Superiori
In Roma, Appresso Nicolò Mutio, 1598
Il Prencipe di Transiluania, che confina da vna parte con la Polonia, da vn’altra con il Moscouito & da vn’altra parte con il Turco, essendosi chiarito & hauendo scoperti vna congiura, ò (per di meglio) tradimento, che alcuni delli suoi più intimi gli machinauano contra, di voler dare al Turco la Sua principal Città, & Stato, Alli quattro dell presente mese di Aprile del presente anno 1598 due hore doppò giorno comandò S.A. che si douesse congregare & raccogliere tutta la nobiltà & Prencipi del Suo Stato nel Suo Palazzo, per douere trattare con esso loro delle più importanti cose & negotij appartenenti à detto Stato & doppò questo impantinente fece mettere prigione il Gran Cancelliero, però nelle sue proprie stanze; & di poi diede ragguaglio alli Stati, che già si erano congregati & raccolti, secondo l’ordine hauuto, di ciò & egli haueua ciò fatto per sua giustificatione, essendosi scoperto il trattato di colui, che teneua di tradire lo stato del Suo Signore & che lo giudicaua inimico & traditore dell’Impero romano & della Sua Patria insieme, si come faceua instanza à essi Prencipi, che per tale douesse essere dechiarato & sententiato si come esso intendeua & commandaua, che come di tale si douesse prender supplitio & fusse castigato, come richedeuano li suoi demeriti, accioche fosse in perpetuo essempio alli pastori & terrore insieme & che non hauessero ardire più di aspirare à simili sceleraggini & impieta nell’auuenire. Doppò che hebbe fatto questo, se n’entrò in vn’altra stanza; & iui con molta magnificenza fece vna bellissima Oratione & ragionamento alli deputati sopra li Stati animandoli & essortandoli con molte belle ragioni a voler hauer riguardo alla fideltà, che doueuano hauere verso il loro Prencipe & al giuramento, che gli haueuano prestato dell’obedienza & vassallaggio, che doueuano all’Imperatore Romano: & insieme verso tutta la christianità fede & Republica & nel fine di esso ragionamento haueudogli domandato per tre volte se la osseruarebbero sino alla morte, gli fu con vno vniuersale applauso & da tutti prontissimamente risposto di si & che sariano stati sempre apparechiati per il loro Signore & Principe volentieri esporre la robba & il sangue, ogni volta che fusse stato di bisogno: Il che poi ricercò oncho in particolare ad alcuni delli più principali Signori dello Stato: che prontamente anchor essi risposero il medesimo & che di nuouo ne faceuano & rinouauano il giuramento di fideltà & obedienza nelle mani delli Deputati di Sua Maestà Cesarea; & essi alli loro sudditi di douergli sempre mantenere & conseruare nelli loro priuiulegij & costumi soliti & consueti. Et doppo fatto questo alle 14 hore in circa commandò che si douesse eseguire la giustizia, & fece subito impiccare per la gola il suo Cauallerizzo maggiore & insieme vn’altro suo officiale parimento consapeuole, & partecipe del trattato & tradimento. Il suo Maggiordomo si saluò con la fuga, essendo anche egli nel numero de partecipi & consapeuoli di tal trattato e tradimento. La onde doppo fatto questo Sua Altezza hà ripartito frà tutti gli altri suoi familiari & offitiali fideli molte robbe & caualli & gioie di gran valore; & insieme hà licentiato da la sua Corte & Città tutta quella gente, che gli è parsa inutile & incommoda al suo Stato fra quali ci sono stati Musici & Cantori, Comici, Histrioni, Ciarlatani, Parasiti, Assentatori & Buffoni & simil gente; restando il suddetto Principe per gouernatore di quella Prouincia: la quale per volontà & mera prouidentia del Signore Iddio si è conseruata à questo buono Imperatore; cosa che non poterono ottenere gli Imperatori Ferdinando & Massimiliano hauendolo procurator con infinita spesa & sangue. Che è quanto è successo in questi paesi à laude & gloria del Signore Iddio.
Il Fine
Con licenza de’ superiori
In Roma
Appresso Nicolò Mutio M.D.XCVIII
Note
1. Giorgio Tomasi, La Battorea, Conegliano, 1609: „Il Serenissimo Prencipe di Transiluania, Sigismondo Battori, delli cui egregij fassi specialmente hò impreso di scriuere compendiosa & succinta historia è illustre non solo per le guerre hauute da lui con turchi & per le vittorie di loro gloriosamente riportate ma anco per le nobiltà del sangue & antichità de la famiglia che per vetustissimi annali voleuano da Batto Imperador de Tartari che già quattrocento e più anni scores con potentissimo essercito la Polonia & l’Vngaria ma da Rè dell’istesso nome che con altri di corona fù con Attila alle imprese da lui fatte; due della cui stripe di Batto, d’Iddolatri diuenuti fideli di Christo si fermorono nel Regno d’Vngaria, dominando gran spatio della regione terminate da i fiumi Danubio e Tibisco oue li Battori possedono tuttauia molti luoghi de’ loro Antecessori & fra questi la terra del proprio cognome Battor […]”. Lucrarea lui Giorgio Tomasi (unul din istoricii italieni, prim secretar – protonotar – al Cancelariei Papale, contemporan cu Sigismund Bathory şi colaborator apropiat al acestuia) are totuşi un vădit caracter elogios la adresa lui Sigismund Bathory, preamărind faptele sale de arme, unele din ele inexistente sau fiind făcute de către principele Ţării Româneşti, aşa cum o dovedeşte răspunsul arhiducelui Maximilian de Habsburg dat soliei venite din partea lui Mihai Viteazul: cf. Mihai Viteazul în conştiinţa europeană, vol I, Documente externe, volum îngrijit de Ion Ardeleanu, Mircea Muşat, Vasile Arimia şi Gheorghe Bondoc, Bucureşti, 1982, pp. 211-212. Dealtfel, în cartea lui Tomasi sunt unele exagerări cu privire la genealogia familiei Bathory, mergând până la a lega numele familiei de cel al lui Batu han, conducătorul armatelor mongole care au invadat Ungaria la 1241, ulterior han al Hoardei de Aur, pe baza unei simple asemănări de nume: Batu – Bathory. Dacă citim cu atenţie cartea lui Tomasi, observăm că deşi are cuvinte elogioase la adresa lui Sigismund, explicabile dat fiind că a fost o bună perioadă colaborator apropiat al principelui Transilvaniei, în momentul în care tema lucrării obligă pe autor să comenteze deciziile împăratului Rudolf de Habsburg, aceste comentarii au un vădit caracter diplomatic, fiind făcute în aşa fel încât să nu lezeze nici una din părţile implicate, chiar dacă decizia împăratului german a fost aceea de a-l obliga pe Sigismund să părăsească Transilvania sau de a lua măsuri militare împotriva lui, sprijinind interesat pe Mihai Viteazul, cel puţin pentru moment, în anul 1601, anul victoriei de la Guruslău. Dealtfel rândurile lui Tomasi stârnesc zâmbetul, atunci când aduc în lumină ultima abdicare a lui Sigismund de la tronul Transilvaniei: „In questo luogo[castelul Libocowitz, la o zi depărtare de Praga, n.a.] tiene il Prencipe dall’anno mille seicento due, ch’egli venne di Transiluania, la sua residenza, non hauendo altre commodità, che quelle ponno portare la giuriditione. Il palagio nondimeno, che è molto qualificato posa alla ripa sinistra dell’Egra fiume placidissimo pescoso & atto alla navigatione, se non la interrompessero gli edifici di molini, che sono frequenti, il quale dopò hauer corso per lungo tratto viene ad unirsi con l’Albis, che di Bohemia uà bagnando la Sassonia sin che sbocca nel Mare Germanico. La fabrica di esso Palagio è di maestreuole & dotta Architettura, che si conosce non solo nella dispositione esteriore della machina, & in due altissimi Pontoni, & torri , che scuoprono per gran soatio di lontano, ma anco nell’ordine interno doue lasciato per Piazza un perfetto & gran quadro sostenuto da archi sotteranei ridotti à più si famigliari, sorgono quattro superbe fasciate piena ogn’una di loro di nobilissime & ricche stanze, parte de quali & in spetie un’amplissimo salone, godono uedetta de’fiumi di selue diletteuoli oue sono rinchiusi cerui, che si prendono ad ogni piacere di S.A.&di altri luogli amessimi”. Se înţelege fără greutate că avem de-a face din partea lui Sigismund (principele fiind, desigur, raisonneur-ul cărţii lui Tomasi) cu o consolare al cărui caracter jalnic nu-l poate schimba nici somptuozitatea noii sale reşedinţe şi nici bogăţia domeniului căpătat de la altcineva. Simţim nevoia să amintim replica celebră a Theodorei, împărăteasă a Bizanţului, în momentul când cu prilejul revoltelor Nika, sfătuia pe Justinian să nu abdice: „mantia imperială este cel mai scump giulgiu”. În concluzie, se poate spune că Tomasi, înainte de a fi colaboratorul apropiat al lui Sigimund Bathory, era colaboratorul şi mai apropiat al bisericii romano-catolice şi al papei.
2. Cf. Johann Christian von Engel, Geschichte des Ungrischen Reichs und Seiner nebenländer, în „Mihai Viteazul în conştiinţa europeană”, vol III, Bucureşti 1984, pp. 54 şi 66; Karl Neugeboren, Handbuch der gheschichte Siebenbürgens, în op. cit. vol III, pp. 117-119; Willibald Stephan Teutschlaender, Michael der Tapfere. Ein zeit und Charakterbild aus der geschichte Rumäniens, în op cit, vol III, pp. 363, 365 (cu ocazia primei abdicări, Michael Weiss, senator braşovean, pune în gura trimisului lui Maximilian următorul vers batjocoritor: „astăzi e patru aprilie / Nebunul e trimis încotro voieşte”. Consilierul imperial István Illésházy are o altă părere despre Sigismund: „El pleacă în exil, în lume, asemenea lui Cain, din cauza sângelui nevinovat pe care l-a vărsat”), 370 (la Praga, Sigismund „era socotit doar un bufon, dar un bufon suspect care trebuia ţinut sub pază”), 375 şi 376; apud. Const. C. Giurescu, Dinu C. Giurescu, Istoria românilor, din cele mai vechi timpuri până astăzi, Bucureşti, 1975, p. 403 (părerea lui Mihai Viteazul era că: „Sigismund nu ştie nici ce face, nici ce vrea”).
3. Domenico Amici, Il bellissimo ordine, che si è tenuto nel portare il Santissimo Sacramento da Bologna nel viaggio di PP. Clemente VIII alla città di Ferrara, in Roma, per Nicolò Mutii, 1598, in 16°, cc. 4 n. n. (două exemplare sunt păstrate la Roma, în bibliotecile Angelica şi Vaticana). În privinţa autorului, a se vedea şi: Giammaria Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia …, vol. I, parte II, Brescia 1753, p. 622, s. v. Amici (Domenico); Giuseppe Colucci, Francesco Lancellotti, Dizionario storico degli uomini illustri di Ancona, in Delle antichità picene dell’Abate Giuseppe Colucci, t. XXVII, Fermo 1786, pp. 1-103; Filippo Vecchietti, Tommaso Moro, Biblioteca Picena …, t. I, Osimo 1790, p. 105, s. v. Amici (Domenico); Luigi Ferrari, Onomasticon. Repertorio Biobibliografico degli scrittori italiani dal 1501 al 1850, Milano 1947, s. v. Amici (Domenico); Tullio Bulgarelli, Gli avvisi a stampa in Roma nel Cinquecento. Bibliografia. Antologia, Roma 1967, p. 112 num. 291, p. 119 num. 323.
4. Karl Neugeboren, Handbuch…. vol III, p. 117. Cronica lui Radu Popescu susţine că pierderile creştinilor au fost mult mai mari: „[…]de-abiea Maximilian pe un cal au scăpat la Caşa cu câţiva grofi. Batăr Jicmond aşijderea de abiea au scăpat de au intrat în Tocai; Zrini aşijderea în altă parte au scăpat; lăsând toate ce-au avut turcilor, carii multă moarte au făcut la creştini şi luând robi şi dobânzi s-au întors sultan Mehmet cu izbândă la Ţarigrad”, cf. Radu Popescu, Istoriile Domnilor Ţării Româneşti în „Cronicile Medievale ale României”, IV, ediţie îngrijită de Dan Simonescu şi Şerban Papacostea, Bucureşti, 1963, p. 77. Cronica lui Johann Filstich confirmă afirmaţiile lui Radu Popescu, cf. Johann Filstich Tentamen Historiae Vallachicae, în „Mihai Viteazul în conştiinţa europeană”, Bucureşti, 1983, p. 382: „[…] Maximilian şi Bathory cu puţini oşteni numai trebuiră să caute în fugă mântuirea vieţii lor.”
5. „Mikor én Ratzgradon valék, jrta vala Nagyságod ennékem Mihaly Waida hiréuel, hogy Nagyságod az hatalmas cziászar ellen nem igyekézet vétenj, hannem mind erre Szjnan Basza adot volna okot. Azerth jmar eömegh holt, es az minemω hiωséggel és engedelmességgel az fényes portahoz voltatok, ez utan-is az hatalmas cziaszarnak feiet haituan, azon hiwseggel legyetek hoza, és az kik eö hatalmassaga ellenségj, azoknak ellenségj, es baratjnak baratj legyetek.”, Mihai Viteazul în conştiinţa europeană, I, Documente, volum îngrijit de Ion Ardelean, Vasile Arimia, Gheorghe Bondoc şi Mircea Muşat, Bucureşti, 1982, pp. 150-153. Ceea ce frapează este data scrisorii pe care Hassan-paşa, comandantul trupelor otomane din Ungaria afirmă că a primit-o de la Sigismund „pe vremea când mă aflam la Ratzgrad” ceea ce înseamnă februarie 1596, prin urmare înainte de bătălia de la Keresztes şi în care adresantul îşi motiva acţiunile antiotomane din anul precedent prin anumite intrigi pe care le făcuse Sinan-paşa. Subliniem faptul că Hassan-paşa menţionează în scrisoarea de răspuns, mai multe scrisori ale lui Sigismund către el, scrisori în urma cărora demnitarul otoman susţinuse cauza adresantului în faţa sultanului, obţinând iertarea pentru ridicarea armelor contra Înaltei Porţi. Ne punem întrebarea (retorică) dacă această scrisoare trimisă de Sigismund lui Hassan-paşa „cu ştirea” lui Mihai Viteazul, avea rolul de a deruta conducerea otomanilor, provocându-le întârzieri în luarea unor decizii, dacă era rodul unei analize realiste a situaţiei militare în ajunul campaniei otomane din Ungaria, lăsând, prin urmare, portiţe deschise pentru negocieri în situaţie de înfrângere sau era rodul unui simplu oportunism al lui Sigismund? Având în vedere caracterul adresantului, orice variantă este posibilă iar ultima chiar probabilă.
6. Dimensiunie victoriilor armatei române conduse de Mihai Viteazul reies dintr-o scrisoare pe care principele Ţării Româneşti a trimis-o arhiducelui Maximilian de Habsburg la 16 octombrie 1598, cf Mihai Viteazul în conştiinţa europeană, I, Documente, p. 216. Armata română ajunsese la Sofia, după ce cucerise Plevna, Vidinul, Vraţa, Florentinul şi Rahova, arzând peste 2000 sate şi trecând la nord de Dunăre peste 10000 bulgari şi sârbi cu toată averea lor. Replica destul de palidă pe care otomanii au dat-o lui Sigismund prin asediul Oradei arată că aceştia nu erau în măsură să pună în discuţie schimbarea conducerii celor trei principate româneşti şi cu atât mai puţin a principelui Transilvaniei. Se explică astfel atitudinea solicitantă a lui Hassan-paşa faţă de Sigismund Bathory.
7. Pentru detalii privind arestarea membrilor partidei pro-otomane şi execuţia publică a lui Balthazar, cf. Willibald Stephan Teutschlaender, Michael der Tapfere. Ein zeit und Charakterbild aus der geschichte Rumäniens, în op cit, vol III, p. 340. Episodul este descris şi de Giorgio Tomasi, La Battorea, Conegliano, 1609: „Non giunse ad effetto il perfido consiglio perche la protettione qual teneua Dio di Sigismondo fece scoprire il trattato il quale veuto ad orecchia di S.Altezza & stimarolo come recidiuo degno di doppia punitione ordino segretissimamente a i Capi dela sua guardia, che comparendo alla Corte i tali mettessero loro le mani adosso facendoli prigioni ilche per appunto & con aueduta diligenza fu esse guito & parte de’ prigioni si mando subito ben custodia in fortezza oue furono poifatti morire & parte senza perdita il tempo fù decapitata nella publica piazza di Claudiopoli, strangolandosi separatamente Balthazar Battori, cugino del prencipe & fratello del Cardinale, & di Stefano che si saluo fuggendo di Transiluania in Polonia, sendosigli per la complicità hauuta dato essilio & confiscati tutti i beni.” Chestiunea legată de averile confiscate de la cei executaţi este prezentată şi de Karl Neugeboren, Handbuch der geschichte Siebenbürgens, în op.cit. vol III, p. 114 cu precizarea că asemenea practici de a condamna în special pentru obţinerea de averi erau la vremea respectivă destul de frecvente, chiar unchiul lui Sigismund, Ştefan, regele Poloniei dând tonul în momentul când l-a condamnat la moarte pe Iancu Sasu, domnul Moldovei refugiat în Polonia. Nicolae Bălcescu subliniază susţinerea lui Sigismund de către majoritatea ungurilor, saşilor şi secuilor în momentul delicat al confruntării cu opoziţia condusă de Balthazar Bathory, când Sigismund a fugit de la Turda, unde se ţinea adunarea, la Chioar, cf. Nicolae Bălcescu, Romînii supt Mihai-Voievod Viteazul, ediţie îngrijită de Andrei Rusu, Bucureşti, 1960, p. 48.
8. Nicolae Bălcescu, op.cit., p. 37. Tratatul între împăratul Rudolf II şi Sigismund Bathory încheiat la Praga şi ratificat printr-un document la 28 ianuarie 1595, era astfel conceput încât nu se putea înceia nici o pace cu turcii fără ca Moldova şi Valahia să nu fi fost incluse. Într-un alt punct al tratatului se vorbeşte pe lângă ajutorul reciproc în războiul cu turcii şi despre anexarea Transilvaniei la Austria în situaţia când Sigismund Bathory ar muri fără moştenitori. Ca urmare a acestui tratat era prevăzută căsătoria lui Sigismund cu Maria Christierna, fiica arhiducelui Carol de Stiria, cf, Willibald Stephan Teutschlaender, Michael der Tapfere. Ein zeit und Charakterbild aus der geschichte Rumäniens, în op cit, vol III, p. 347.
9. Un caz similar este cel al lui Ştefan cel Mare care, în scrisoarea trimisă monarhilor apuseni după victoria de la Vaslui din iarna lui 1475 (cf. România. Documente străine despre români, culegere de documente întocmită de Teodor Bucur, Tahsin Gemil, Ioana Burlacu şi Manole Neagoe, Bucureşti, 1992, p. 58), ia in considerare situaţia în care nu va primi ajutor din partea acestora, explicând fără echivoc că în această situaţie Moldova va găsi cale de a se înţelege cu otomanii. Ştefan cel Mare, principe al unui stat cu resurse mult mai mici decât cele ale Transilvaniei, nu s-a gândit niciodată la vreo abdicare.
10. di Cesare Campana, Compendio Historico delle guerre vltimamente successe tra christiani & Turchi & tra Turchi & Persiani, Vinecia, 1597.
11. Willibald Stephan Teutschlaender, Michael der Tapfere. Ein zeit und Charakterbild aus der geschichte Rumäniens, în Mihai Viteazul în conştiinţa europeană, vol III, p. 363-364.
12. Giorgio Tomasi, La Battorea, Conegliano, 1609. În afară de caracterul elogios al textului, text ce conţine inclusiv exagerări şi chiar neadevăruri, menţionăm cele două poezii de la începutul şi de la sfârşitul lucrării, închinate lui Sigismund Bathory, în care principele este prezentat ca un al doilea Alexandru Macedon. Ultimul cântec intitulat „Canzone Al Serenissimo Prencipe di Transiluania Sigismondo Battori nel cominciamento delle sue Imprese”este semnat de Marco Claseri Trentino. În poem, Sigismund este descris ca victorios pe câmpul de bătaie şi încărcat de glorie iar vestea victoriilor sale ajunsese în Grecia şi Palestina (Sion). Socotim că nu este cazul să explicăm ce semnificaţie are prezenţa Sionului în acest poem. Prima poezie, care prefaţează Bathoriada, este ceva mai scurtă: „Tu pur valoroso SIGISMONDO, / La gran fama sepolta, anzi ch’estinta, / E la salda virtù cheta, non vinta, / Spirante, e forte anchor ritorni al mondo. Qui lui vedrem contra il Tiranno immondo, / Onde il fiero giogo è l’Asia auinta, / Tonar ne l’armi, e l’empia turba spinta, / Scoter, e calpestar l’ingusto pondo. E letti i suoi trionfi, e ouunque vada, / Senno, e pietà, non ben saprem qual merti, / Più lode, ò la tua Penna, ò la tua spada. Questa sparge di sangue i campi aperti, / Quella dà lume al sangue, e doue ei cada, / Di lui nel fosco suo sà chiari i merti.”. Cartea se găseşte la secţia Manuscritti a Bibliotecii Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele” din Roma (collocazione 6.34.C.10).
13. De amintit că Austria a mai încercat odată să intre în posesia Transilvaniei contând pe lipsa de urmaşi, în cazul lui Ioan Zápolya. Tratatul de la Oradea din 24 februarie 1538 prevedea ca Ungaria şi Transilvania să intre în posesia Casei de Habsburg după moartea lui Zápolya, fără copii la o vârstă destul de înaintată. Imediat după încheierea tratatului Ioan Zápolya s-a căsătorit cu Isabela, fiica regelui Sigismund I al Poloniei. Diferenţa mare de vârstă dintre cei doi soţi (el, trecut de 60; ea, în jur de 20) nu a împiedicat apariţia unui fiu, Ioan Sigismund, care, recunoscut ca urmaş legitim de către Süleyman Kanuni, a dat peste cap toate planurile habsburgilor.
14. Willibald Stephan Teutschlaender, Michael der Tapfere. Ein zeit und Charakterbild aus der geschichte Rumäniens, în Mihai Viteazul în conştiinţa europeană, vol III, p. 376.
15. Karl Neugeboren, Handbuch der gheschichte Siebenbürgens, în Mihai Viteazul în conştiinţa europeană, vol III, p. 118; Nicolae Bălcescu, Romînii …, pp. 45-46. A se vedea “caracterul” lui Sigismund: promite tronul lui Jósika, trimite sol la Înalta Poartă pentru a obţine confirmarea sultanului pentru acesta, ca pe urmă să-l acuze că unelteste pentru obţinerea tronului (înaltă trădare şi înţelegere cu necredincioşii) şi să-l arunce în puşcărie unde i se va tăia capul. Bălcescu consemnează o replică amară a lui Jósika în momentul când era urcat în trăsura care-l va duce la închisoarea de la Satu-Mare, de faţă fiind Eustatie Guylasi: „iată preţul prieteniei crailor”. Gáspár Kórnis şi Ştefan Bocskay mai mult ca sigur că priveau cu satisfacţie eliminarea din cursă a concurentului lor care conducea detaşat, făcând tot jocul lui Sigismund. Tot edificator pentru caracterul lui Sigismund este şi episodul în care un grup de nobili (care probabil îşi vedeau ameninţate propriile persoane, prin arestarea abuzivă a unui membru marcant al lor) îl roagă pe Sigismund să-l judece pe Jósika potrivit legii, declarându-se martori pentru fostul cancelar. Sigismund a replicat “cu amar” că Jósika „este acum în puterea comisarilor împărăteşti, cărora el a dat ţara şi puterea de a face dreptate” (ibidem, p. 56). Mutatis-mutandis, în urma acestui răspuns şi având în vedere faptele petrecute, putem afirma, cu compasiune, despre Sigismund că era (aşa cum avea să mărturisească despre el însuşi mai târziu preşedintele american Harry Trumann, acuzat de opinia publică că nu s-a opus lansării bombelor nucleare deasupra oraşelor japoneze la sfârşitul celui de-al doilea război mondial) „în situaţia unui copil aruncat pe un tobogan”.
16. Andrei Veress, Nunţii apostolici în Ardeal (1592 – 1600), in “Academia Română, Memoriile secţiei istorice”, seria III, tomul VIII, mem. 13, Bucureşti, 1928, p. 40. Autorul susţine pe bază de documente că scrisoarea lui Jósika către Maximilian a fost scrisă din însărcinarea lui Sigismund Bathory însuşi. Trebuie menţionat că dacă Gáspár Kórnis, Ştefan Jósika e Ştefan Bocskay erau împotriva planului de menţinere a dinastiei bathoreştilor, prin care Sigismund trebuia să abdice în favoarea nepotului său Gabriel Bathory – episod descris foarte bine de către Andrei Veress, op cit, p. 38 – aceasta se datora intentiei fiecăruia de a obţine pentru el tronul Transilvaniei, si a certitudinii faptului că în situaţia dată, comisarii imperiali nu vor putea în nici un fel conduce principatul, toate pârghiile puterii fiind de fapt în mâna nobililor ardeleni. Ceea ce se va vedea mai târziu, prin întoarcerile lui Sigismund, apoi prin înscăunarea lui Andrei Bathory şi prin pierderea Transilvaniei de către habsburgi de după asasinarea lui Mihai Viteazul. În politică, fiecare putere îşi impune punctul de vedere până acolo unde ajunge armata sa. Din pacate pentru dinastia de Habsburg, ea nu putea în acel moment opera decât cu armatele Ţării Româneşti ale lui Mihai Viteazul şi Radu Şerban, principi care-şi vedeau fiecare de propria lor politică.
17. Bălcescu menţionează „spaima intrată în inimile tuturor” ca efect al arestării, fiecare simţindu-se ameninţat. Tot el menţionează, citând un istoric ungur, fără însă să-l nominalizeze, şi arestarea şi executarea fără judecată, în faţa tuturor, a unui anume Toma, militar valoros, care ar fi vorbit despre „împilarea libertăţii”, (ibidem, p. 53-54), probabil reacţie la arestarea abuzivă a cancelarului Jósika.
18. Nicolae Bălcescu, Romînii …, pp. 51-52.
19. Jósika a fost preluat de comisarii imperiali şi dus în lanţuri „cu pază bună“ – afirmă setenţios Giorgio Tomasi în „La Battorea” – în închisoarea din Satu Mare. Nu putea fi legal pus sub nici o acuzaţie întru-cât el nu trădase pe nimeni, Transilvania nefiind încă preluată şi nici măcar hotărâtă în urma unei adunări în plen a dietei, având în vedere o aşa importantă ordine de zi, cum este hotărârea de acceptare a unei administraţii străine şi ca naţiune dar şi ca religie, dacă aşa ceva poate avea statut legal. A fost decapitat la porunca lui Rudolf, furios că Sigismund se întorsese de la Ratibor pe furiş şi fusese imediat recunoscut principe de către dietă, în dauna sa şi dornic de a da un exemplu nobililor ardeleni, răzvrătiţi acum contra habsburgilor. Deşi fusese trădat de Sigismund Bathory într-un mod aşa de josnic, la parodia de proces la care a fost supus înaintea execuţiei, Jósika a avut o comportare deosebit de demnă ca şi în faţa călăului, nedând nici un fel de satisfacţie ucigaşilor săi. Ca sursă istorică, Nicolae Bălcescu poate fi bănuit de o oarecare implicare afectivă, având în vedere că este român şi paşoptist în acelaşi timp, Mihai Viteazul reprezentând pentru el întruchiparea vitejiei, a dreptăţii, onoarei şi cavalerismului. Se poate observa din rândurile sale o oarecare aversiune faţă de Austria, numind-o la un moment dat „duşmana Ungariei” şi ucigaşa românului Jósika. „Duşmana Ungariei” îl putem comenta ca fiind o încercare narativă, de apropiere faţă de paşoptiştii maghiari şi de Lajos Kossuth, ceea ce, de altfel, a încercat din toate puterile, în perioada revoluţiei de la paşopt, ca şi cum Ungaria ar fi reprezentat apărătoarea libertăţilor naţionale şi individuale, cealaltă parte vătămată – Austria – reprezentând despotismul. Stilul narativ a lui Bălcescu, amintind de cel al lui Titus Livius (probabil că Ab urbe condita, fusese una din lecturile lui preferate), contribuie şi el la bănuiala că autorul Istoriei românilor supt Mihai Viteazul, ar înfiera intenţionat persoana lui Sigismund Bathory, în ciuda faptului că tot el acuză Austria, ca fiind ea ucigaşa românului Jósika, omiţându-l pe Sigismund. Dincolo de stil şi de statutul autorului, realitatea nu poate fi schimbată iar informaţiile sunt confirmate şi de alte surse, după cum se poate vedea la fiecare notă de subsol.
Note
1. Si veda Giorgio Tomasi, La Battorea, Conegliano 1609: “Il Serenissimo Prencipe di Transilvania, Sigismondo Battori, delli cui egregij passi specialmente ho impreso di scrivere compendiosa & succinta historia è illustre non solo per le guerre havute da lui con turchi & per le vittorie di loro gloriosamente riportate ma anco per le nobiltà del sangue & antichità de la famiglia che per vetustissimi annali volevano da Batto Imperador de’ Tartari che già quattrocento e più anni scorse con potentissimo esercito la Polonia & l’Ungaria ma da Re dell’istesso nome che con altri di corona fu con Attila alle imprese da lui fatte; due della cui stirpe di Batto, d’Idolatri divenuti fideli di Christo si fermarono nel Regno d’Ungaria, dominando gran spatio della regione terminate dai fiumi Danubio e Tibisco ove li Battori possedono tuttavia molti luoghi de’ loro Antecessori & fra questi la terra del proprio cognome Battor […]”. Il lavoro dello storico Giorgio Tomasi, protonotario della Cancelleria pontificia, contemporaneo di Sigismondo Báthory e suo fedele collaboratore, rivela un chiaro intento celebrativo nell’esaltare le gesta del principe, alcune addirittura inventate, oppure da attribuire ai principi di Valacchia e Moldavia, come dimostra la risposta dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo all’inviato di Michele il Bravo. Cfr. Mihai Viteazul în conştiinţa europeană, vol I, Documente externe, a cura di Ion Ardeleanu, Mircea Muşat, Vasile Arimia, Gheorghe Bondoc, Bucarest 1982, pp. 211-212. Inoltre, nel libro del Tomasi, si riscontrano esagerazioni concernenti la genealogia della famiglia Báthory, il cui nome è fatto risalire a quello di Batu Khan, prima condottiero dei Mongoli che invasero l’Ungheria, nel 1241, e poi Khan dell’Orda d’Oro. Leggendo con attenzione il libro del Tomasi, notiamo che l’autore, quand’è obbligato dall’argomento a commentare le decisioni dell’imperatore Rodolfo II, pur continuando ad usare parole elogiative nei confronti di Sigismondo, adotta nel contempo un atteggiamento palesemente diplomatico. Le sue considerazioni, infatti, vengono svolte in modo da non offendere nessuna delle parti coinvolte, anche se l’imperatore obbligò Sigismondo a lasciare la Transilvania, e quindi sostenne Michele il Bravo nel 1601, anno della vittoria a Guruslău delle forze congiunte valacche e imperiali sull’esercito transilvano. D’altronde, alcuni passi tratti dal libro del Tomasi muovono al sorriso allorquando descrivono l’ultima abdicazione di Sigismondo Báthory e il suo ritiro nella residenza tedesca: “In questo luogo [il castello di Libocowitz, situato ad un giorno di cammino da Praga, n. n.] tiene il Prencipe dall’anno mille seicento due, ch’egli venne di Transilvania, la sua residenza, non havendo altre comodità, che quelle ponno portare la giurisditione. Il palagio nondimeno, che è molto qualificato posa alla ripa sinistra dell’Egra fiume placidissimo pescoso & atto alla navigatione, se non la interrompessero gli edifici di molini, che sono frequenti, il quale dopo haver corso per lungo tratto viene ad unirsi con l’Albis, che di Bohemia va bagnando la Sassonia sin che sbocca nel Mare Germanico. La fabbrica di esso Palagio è di maestrevole & dotta Architettura, che si conosce non solo nella dispositione esteriore della machina, & in due altissimi Pontoni, & torri, che scuoprono per gran spatio di lontano, ma anco nell’ordine interno dove lasciato per Piazza un perfetto & gran quadro sostenuto da archi sotterranei ridotti a più di famigliari, sorgono quattro superbe fasciate piena ogn’una di loro di nobilissime & ricche stanze, parte de quali & in spetie un amplissimo salone, godono vedetta de’ fiumi di selve dilettevoli ove sono rinchiusi cervi, che si prendono ad ogni piacere di S. A. & di altri luoghi amenissimi”. Si comprende l’intento consolatorio nei confronti di Sigismondo, che fu certamente il raisonneur del libro del Tomasi, intento in un certo qual modo patetico che, però, non può porre rimedio all’indegnità della nuova abitazione che l’Imperatore concesse in Silesia al Báthory. Ricordiamo la celebre battuta dell’imperatrice di Bisanzio, Theodora, quando, in occasione delle rivolte di Nika, consigliò a Giustiniano di non abdicare: “il manto imperiale è il più caro velo”. Si può dire che il Tomasi, prima di essere un fedele collaboratore di Sigismondo Báthory, fu ancor più fedele alla Chiesa cattolica e al Pontefice romano.
2. Cfr. Johann Christian von Engel, Geschichte des Ungarischen Reichs und Seiner Nebenländer, in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, Bucarest 1984, p. 54 e p. 66; Karl Neugeboren, Handbuch der Geschichte Siebenbürgens cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, pp. 117-119; Willibald Stephan Teutschländer, Michael der Tapfere. Ein zeit und Charakterbild aus der Geschichte Rumäniens, in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 363, p. 365, p. 370 e pp. 375-376. In occasione della prima abdicazione di Sigismondo, Michael Weiss, senatore di Braşov, attribuiva al messaggero di Massimiliano d’Asburgo i seguenti versi beffardi: “Oggi è il 4 aprile / Il pazzo è mandato dovunque voglia”. Il consigliere imperiale Stefano Illésházy espresse un altro giudizio su Sigismondo Báthory: “Egli parte in esilio, così come Caino, a causa del sangue innocente che ha versato”; a Praga, il principe transilvano “era considerato solo un buffone, ma un buffone sospetto che doveva essere tenuto d’occhio”. Si veda anche Constantin C. Giurescu, Dinu C. Giurescu, Istoria românilor, din cele mai vechi timpuri până în prezent, Bucarest 1975, p. 403 (il principe valacco Michele il Bravo ebbe a dire di Sigismondo: “non sa né che cosa fa, né che cosa vuole”).
3. Domenico Amici, Nuovo avviso della resolutione fatta per il Serenissimo Prencipe di Transilvania di restituire quella Provincia all’Impero Romano, in Roma, appresso Nicolò Mutio, 1598, in 16°, cc. 4 n. n. (a nostra conoscenza due esemplari dell’operetta sono conservati, a Roma, nelle Biblioteche Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II” e Vallicelliana).
4. Domenico Amici, Il bellissimo ordine, che si è tenuto nel portare il Santissimo Sacramento da Bologna nel viaggio di PP. Clemente VIII alla città di Ferrara, in Roma, per Nicolò Mutii, 1598, in 16°, cc. 4 n. n. (due esemplari sono conservati a Roma, nelle Biblioteche Angelica e Vaticana). Per l’autore si vedano: Giammaria Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia …, vol. I, parte II, Brescia 1753, p. 622, s. v. Amici (Domenico); Giuseppe Colucci, Francesco Lancellotti, Dizionario storico degli uomini illustri di Ancona, in Delle antichità picene dell’Abate Giuseppe Colucci, t. XXVII, Fermo 1786, pp. 1-103; Filippo Vecchietti, Tommaso Moro, Biblioteca Picena …, t. I, Osimo 1790, p. 105, s. v. Amici (Domenico); Luigi Ferrari, Onomasticon. Repertorio Biobibliografico degli scrittori italiani dal 1501 al 1850, Milano 1947, s. v. Amici (Domenico); Tullio Bulgarelli, Gli avvisi a stampa in Roma nel Cinquecento. Bibliografia. Antologia, Roma 1967, p. 112 num. 291, p. 119 num. 323.
5. K. Neugeboren, Handbuch der Geschichte Siebenbürgens cit., p. 117. Secondo la Cronaca di Radu Popescu le perdite dei cristiani aumentarono non “appena Massimiliano fuggì su un cavallo a Kosiče […]. Anche Batăr Jicmond [Sigismondo Báthory] fuggì e si rifugiò nella città di Tocai; e così anche Zrini che fuggì altrove: lasciarono tutto alle loro spalle in balìa dei Turchi che provocarono tanti morti tra i Cristiani, e il sultano Mehmet, catturati schiavi e un cospicuo bottino, tornò vittorioso a Tzarigrado [Costantinopoli]”, cfr. Radu Popescu, Istoriile domnilor Ţării Româneşti, edizione a cura di Constant Grecescu, Bucarest 1963, p. 77; la Cronaca settecentesca del sassone Johann Filstich conferma le asserzioni di Radu Popescu, cfr. Johann Filstich, Tentamen Historiae Vallachicae, in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 382: “[…] Massimiliano e il Batori dovettero cercare la salvezza della loro vita, mentre fuggivano con pochi soldati”.
6. “Mikor én Ratzgradon valék, jrta vala Nagyságod ennékem Mihaly Waida hiréuel, hogy Nagyságod az hatalmas cziászar ellen nem igyekézet vétenj, hannem mind erre Szjnan Basza adot volna okot. Azerth jmar eömegh holt, es az minemo hioséggel és engedelmességgel az fényes portahoz voltatok, ez utan-is az hatalmas cziaszarnak feiet haituan, azon hiwseggel legyetek hoza, és az kik eö hatalmassaga ellenségj, azoknak ellenségj, es baratjnak baratj legyetek” (Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. I, pp. 150-153). È interessante che Hassan pascià, comandante in capo degli eserciti ottomani di stanza in Ungheria, sostenga di avere ricevuto la lettera di Sigismondo Báthory: “ai tempi in cui mi trovavo a Razgrad”, permettendoci così di datare la missiva al febbraio 1596, dunque dopo la battaglia di Mezökeresztes. Nella sua lettera, Hassan, riferendosi ad un precedente scambio epistolare col principe transilvano, accenna ai tentativi di ottenere il perdono del sultano per la ribellione di Sigismondo. Ci domandiamo: questa lettera risponde ad una strategia politica messa in atto alla vigilia della campagna ottomana in Ungheria, per lasciare aperta la via ad eventuali trattative in caso di sconfitta, oppure è una prova palese dell’opportunismo di Sigismondo Báthory? Se consideriamo la posizione del destinatario e la sua influenza, ambedue le ipotesi divengono possibili, ma la seconda ci sembra la più probabile.
7. Il successo degli eserciti guidati da Michele il Bravo, nella campagna a sud del Danubio, risulta con chiarezza dai passi di una lettera che il principe valacco spedì, il 16 ottobre 1598, all’arciduca Massimiliano d’Asburgo, cfr. Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. I, p. 216. Le truppe della Valacchia avanzarono in territorio ottomano fino a Sofia, dopo aver conquistato l’una dopo l’altra le città di Plevna, Vidino, Vratza, Filippopoli e Rahova, razziando e incendiando circa 2.000 villaggi, quindi ritornarono vittoriose al nord del fiume, in territorio romeno, seguite da oltre 10.000 rifugiati cristiani, bulgari e serbi, che portarono con loro anche i propri beni. La debole ritorsione degli Ottomani, che avviarono l’assedio di Oradea, dimostra che allora la Porta non era in grado di influenzare la politica estera dei Principati Romeni, e tanto meno quella del principe di Transilvania; si spiegano, così, le ragioni della disponibilità dimostrata da Hassan pascià nei confronti di Sigismondo.
8. Per l’arresto dei membri della fazione filottomana e per l’esecuzione pubblica di Baldassare Báthory, si veda: W. St. Teutschländer, Michael der Tapfere cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 340; l’episodio è narrato anche da G. Tomasi, La Battorea cit.: “Non giunse ad effetto il perfido consiglio perché la protetione qual teneva Dio di Sigismondo fece scoprire il trattato, il quale venuto ad orecchia di S. Altezza & stimarolo come recidivo degno di doppia punitione, ordinò segretissimamente ai Capi della sua guardia, che comparendo alla Corte i tali mettessero loro le mani addosso facendoli prigioni, il che per appunto & con avveduta diligenza fu esseguito & parte de’ prigioni si mandò subito ben custodita in fortezza ove furono poi fatti morire & parte senza perdita di tempo fu decapitata nella pubblica piazza di Claudiopoli, strangolandosi separatamente Baltasare Battori, cugino del prencipe & fratello del Cardinale, & di Stefano che si salvò fuggendo di Transilvania in Polonia, sendosigli per la complicità havuta dato esilio & confiscati tutti i beni”. Ai beni confiscati si riferisce anche K. Neugeboren, Handbuch der Geschichte Siebenbürgens cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 114. La pratica della confisca dei beni era molto frequente all’epoca; anche lo zio di Sigismondo, il re di Polonia Stefano Báthory, si comportò allo stesso modo con Iancu il Sassone, principe di Moldavia, che si era rifugiato in territorio polacco per sfuggire alla Porta: catturatolo, lo fece giustiziare e gli sequestrò la fortuna. Lo storico romeno Nicolae Bălcescu sostiene che Sigismondo beneficiò del sostegno della nobiltà ungherese, e del patriziato sassone e siculo, nel momento in cui dovette confrontarsi con l’opposizione capeggiata da Baldassare Báthory, vale a dire quando il principe lasciò Turda, dove si era riunita la Dieta generale, per riparare a Chioar, cfr. N. Bălcescu, Românii supt Mihai Voievod Viteazul, edizione a cura da Andrei Rusu, Bucarest 1960, p. 48.
9. Ibidem, p. 37. Il trattato ratificato a Praga il 28 gennaio 1595, tra l’imperatore Rodolfo II e Sigismondo Báthory, non consentiva a nessuno dei firmatari la conclusione della pace con la Porta, senza che la Moldavia e la Valacchia fossero incluse nell’accordo finale. Nello stesso trattato si prevedeva, oltre al sostegno reciproco nella guerra contro l’Impero Ottomano, anche l’annessione della Transilvania all’Austria nel caso in cui Sigismondo morisse senza eredi. Inoltre si concordava il matrimonio tra Sigismondo Báthory e Maria Christierna, figlia dell’arciduca Carlo di Stiria, cfr. W. St. Teutschländer, Michael der Tapfere cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 347.
10. Un caso simile fu quello del principe moldavo Stefano il Grande (1457-1504). Questi, nella lettera inviata ai monarchi occidentali subito dopo la vittoria di Vaslui, nell’inverno del 1475 (cfr. România. Documente străine despre români, raccolta di documenti a cura di Teodor Bucur, Tahsin Gemil, Ioana Burlacu e Manole Neagoe, Bucarest 1992, p. 58), prendeva in considerazione anche la possibilità di accordarsi con la Porta, qualora non avesse ricevuto alcun sostegno dalle potenze cristiane. Tuttavia Stefano il Grande, principe di uno Stato provvisto di risorse molto più scarse della Transilvania, non pensò mai all’abdicazione.
11. Cesare Campana, Compendio Historico delle guerre ultimamente successe tra christiani & Turchi & tra Turchi & Persiani, Venezia 1597.
12. W. St. Teutschländer, Michael der Tapfere cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, pp. 363-364.
13. G. Tomasi, La Battorea cit.; coerenti col carattere encomiastico dell’opera, che contiene molteplici esagerazioni e altrettante inesattezze, sono le due poesie dedicate a Sigismondo Báthory, all’inizio e alla fine del libro, versi che presentano il principe transilvano addirittura come un novello Alessandro il Macedone. La poesia che chiude il libro, intitolata: “Canzone Al Serenissimo Prencipe di Transilvania Sigismondo Battori nel cominciamento delle sue Imprese”, è firmata da Marco Claseri Trentino. In essa si enumerano le gloriose vittorie del principe, la cui fama è giunta in Grecia e in Palestina (Sion). La prima poesia, nella prefazione, è leggermente più breve: “Tu pur valoroso SIGISMONDO, / La gran fama sepolta, anzi ch’estinta, / E la salda virtù cheta, non vinta, / Spirante, e forte anchor ritorni al mondo. // Qui lui vedrem contra il Tiranno immondo, / Onde il fiero giogo è l’Asia avinta, / Tonar ne l’armi, e l’empia turba spinta, / Scoter, e calpestar l’ingusto pondo. // E letti i suoi trionfi, e ovunque vada, / Senno, e pietà, non ben saprem qual merti, / Più lode, o la tua penna, o la tua spada. // Questa sparge di sangue i campi aperti, / Quella dà lume al sangue, e dove ei cada, / Di lui nel fosco suo sà chiari i meriti”. Il volume citato (La Battorea) si conserva nella Sezione Manoscritti della Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II” di Roma (coll. 6. 34. C. 10).
14. I primi tentativi da parte della Casa d’Austria di impadronirsi della Transilvania risalgono all’epoca della fondazione del principato, quando gli Asburgo cercarono di approfittare della mancanza di eredi di Giovanni Zápolya. Il trattato di Oradea, del 24 febbraio 1538, disponeva l’annessione dell’Ungheria e della Transilvania all’Impero dopo la morte dello Zápolya, all’epoca senza bambini ed in età abbastanza avanzata. Poco dopo la conclusione del trattato fra Transilvania e Asburgo, Giovanni Zápolya sposò Isabella, figlia del re di Polonia, Sigismondo I. La grande differenza di età tra i due coniugi: lo Zápolya superava i sessant’anni, Isabella era intorno ai venti, non impedì la nascita di un figlio: Giovanni Sigismondo, che fu riconosciuto come erede legittimo dello Zápolya dal sultano Süleyman Kanunî, a dispetto degli Asburgo.
15. W. St. Teutschländer, Michael der Tapfere cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 376.
16. K. Neugeboren, Handbuch der Geschichte Siebenbürgens, în Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol III, p. 118; N. Bălcescu, op. cit., pp. 45-46. I tratti della personalità di Sigismondo Báthory emergono chiaramente dal comportamento adottato nei confronti dei suoi collaboratori: promette il trono a Stefano Jósika, manda un inviato alla Porta per la ratifica, quindi accusa il cancelliere di alto tradimento, per aver complottato con i Turchi, e dispone il suo arresto, condannandolo a morte mediante decapitazione. Bălcescu ricorda una battuta amara di Jósika, quand’egli salì sulla carrozza che lo avrebbe trasportato nella prigione di Satu Mare; rivolto a Eustazio Guylasi, disse: “Ecco il prezzo per l’amicizia dei principi!”. Gaspare Kórnis e Stefano Bocskay certamente accolsero con soddisfazione l’eliminazione di un concorrente al trono, che, da tempo, assecondava le iniziative politiche del principe. Per quanto riguarda il carattere esitante di Sigismondo Báthory, va ricordato anche l’episodio in cui alcuni dignitari, sentendosi minacciati dall’arresto di un membro di spicco della nobiltà transilvana, pregarono il principe di processare Jósika secondo la legge, dichiarandosi pronti a testimoniare l’innocenza dell’ex cancelliere. Sigismondo Báthory rispose “con amarezza”, dicendo che Jósika: “era allora nelle mani dei commissari imperiali, ai quali era affidata la guida del principato e la facoltà di sovrintendere alla giustizia” (Ibidem, p. 56).
17. Andrei Veress, Nunţii apostolici în Ardeal (1592-1600), in “Analele Academiei Române. Memoriile Secţiunii Istorice”, III serie, VIII, 1928, p. 40. Lo storico ungherese, basandosi sui documenti del tempo, sostiene che la lettera inviata da Stefano Jósika a Massimiliano d’Asburgo fu spedita su ordine di Sigismondo Báthory. Gaspare Kórnis, Stefano Jósika e Stefano Bocskay erano contrari al piano che, per il mantenimento della dinastia alla guida del principato transilvano, prevedeva la sostituzione di Sigismondo col nipote Gabriele Báthory (cfr. A. Veress, op. cit., p. 38). Ognuno dei tre, infatti, ambiva alla corona per conservare il potere nelle mani della nobiltà locale, a discapito dei commissari inviati dagli Asburgo alla guida della Transilvania. La nobiltà transilvana rimase coerente a questa linea politica anche in occasione dei successivi ritorni di Sigismondo sul trono del principato, ma così fu anche all’epoca del principato di Andrea Báthory e della ribellione antiasburgica seguita all’uccisione di Michele il Bravo, assassinato per ordine dello stesso generale imperiale Giorgio Basta. Poiché all’epoca, sullo scacchiere dell’Europa Centro–Orientale, il punto di vista degli Asburgo si affermava soltanto nelle regioni in cui le forze militari imperiali riuscivano ad intervenire direttamente, in Valacchia l’imperatore poteva contare soltanto sugli eserciti di Michele il Bravo e di Radu Şerban, principi che comunque tendevano a promuovere innanzitutto i propri interessi strategici.
18. L’episodio dell’arresto del cancelliere Stefano Jósika è narrato anche da Alfonso Carrillo, gesuita spagnolo presente in veste di diplomatico alla corte di Alba Iulia, ma le sue asserzioni sono sommarie e nettamente favorevoli a Sigismondo Báthory, cfr. Călători străini despre Ţările Române, vol. III, a cura di Maria Holban, Maria Matilda Alexandrescu–Dersca Bulgaru, Paul Cernovodeanu, Bucarest 1971, pp. 323-324.
19. Nicolae Bălcescu sottolinea il fatto che, dopo l’arresto del cancelliere, dominò “la paura emersa nel cuore di tutti”, giacché la nobiltà transilvana si riteneva seriamente minacciata dalle decisioni del principe. Il Bălcescu, citando uno storico ungherese che però non nomina, accenna anche all’arresto e all’esecuzione senza processo, di fronte alla corte, di un certo Toma, soldato valoroso che avrebbe denunciato “l’oppressione della libertà”, probabilmente come reazione all’arresto arbitrario di Stefano Jósika (cfr. N. Bălcescu, op. cit., pp. 53-54).
20. N. Bălcescu, op. cit., pp. 51-52.
21. Eudoxiu de Hurmuzaki, Documente privitoare la istoria românilor, vol. III/1, Bucarest 1880, p. 279; è assai interessante che il cancelliere Stefano Jósika fosse ritenuto colpevole anche da Michele il Bravo, il quale probabilmente, nel suo giudizio, si limitò alle informazioni avute da Sigismondo Báthory, cfr. Ibidem, vol. XII/1, Bucarest 1903, pp. 382-385.
22. Stefano Jósika, afferma Giorgio Tomasi nella Battorea, fu consegnato ai commissari imperiali e trasferito in catene, “con buona guardia”, nel carcere di Satu Mare. Dal punto di vista giuridico non fu mai dimostrata la colpa del cancelliere, e neanche la Dieta transilvana espresse mai un giudizio definitivo su questo caso. L’ex cancelliere fu decapitato per ordine di Rodolfo II d’Asburgo, infuriato per la notizia della fuga di Sigismondo da Ratibor ad Alba Iulia; qui Sigismondo fu immediatamente rieletto principe dalla Dieta transilvana. Anche se fu trattato da Sigismondo Báthory in modo indegno, Stefano Jósika tenne un atteggiamento molto nobile, sia durante il processo, sia di fronte al boia, non offrendo alcuna soddisfazione ai suoi aguzzini. Lo storico ottocentesco Nicolae Bălcescu può essere sospettato in un certo qual modo di partigianeria, se si tiene presente la sua origine romena e, nel contempo, il fatto che egli partecipò ai moti del 1848. Michele il Bravo rappresentava per lui la personificazione del coraggio, della giustizia e dell’onore. Si può dunque individuare, nell’opera del Bălcescu, una comprensibile avversione nei confronti dell’Austria, detta “la nemica dell’Ungheria” e l’assassina del “romeno Stefano Jósika”. Il primo giudizio dello storico può essere imputato al suo riavvicinamento ai rivoluzionari ungheresi e al loro capo Lajos Kossuth; perciò l’Ungheria diviene il difensore delle libertà nazionali e individuali, mentre l’Austria imperiale rappresenta la tirannia. Lo stile narrativo del Bălcescu, che ricorda quello di Tito Livio (probabilmente una delle letture favorite dello storico romeno), accresce il sospetto che le critiche eccessive rivolte dall’autore a Sigismondo Báthory derivino dalla mancanza di imparzialità, sebbene vada ricordato come, per l’uccisione di Stefano Jósika, il Bălcescu accusasse l’Austria non tenendo di conto che, in questo caso, la colpa andava attribuita soprattutto al principe transilvano. Comunque, al di là dello stile e delle convinzioni politiche del Bălcescu, i fatti analizzati dallo storico romeno, in merito alla personalità e al principato di Sigismondo Báthory, sono confermati anche dalle altre fonti che abbiamo già citato in questo nostro breve lavoro.